Non avrai altro Dio

“Cum nimis absurdum” – Poiché è oltre modo assurdo

Arriviamo in città dalle poche vie liquide rimaste: il Tago, l’Oceano. Lisbona è spaccata dal sole. Non piove da mesi. Siamo tanti, ed ogni giorno, al porto, sembra essersi riunita tutta l’Europa. I ricchi mercanti di zucchero ci mandano schiavi negri a caricare le navi.
Io avevo fatto amicizia con alcuni di loro, uno mi era particolarmente simpatico, diceva di chiamarsi João e di vivere in un buco ad Alfama.
Avevo pensato a lui quando mi ero imbarcato da Istanbul, gli avevo promesso una bambola ricamata per sua figlia.
Era il 18 Aprile, 1506. Quel giorno, João non venne, si presentò un portoghese, diceva di chiamarsi Ruiz Manuel, feci per stringergli la mano come gesto amichevole:
“Non tocco quei porci musulmani nemici di Dio”, disse. Restai attonito.
“Indicami pure dove dobbiamo caricare il pepe e le altre spezie; ora”, gli dissi ciò che voleva e gli chiesi se conoscesse quel João dell’Alfama. “Se l’è preso la peste alla scimmia negra! Domani però finalmente Lisbona verrà liberata dal Signore Dio. Ci sarà una grande messa pasquale al convento di Santo Domingo. Accadrà il miracolo ci hanno detto i frati: basta siccità! Basta carestie! Quei rottinculo porci schifosi degli ebrei marrani che ci hanno portato la peste se la riporteranno a casa loro… sempre che Dio voglia concedergliela… una casa”.
Finì il lavoro e disse che il padrone sarebbe passato fra tre giorni. Restai sgomento da tutto quell’odio. Salutai Ruiz Manuel e mi preparai per andare a mangiare qualcosa per la sera, in un’osteria frequentata solo da marinai, a Rossio.
Lisbona era poverissima, ma anche ricchissima.
Passeggiando per la rua Nova, si incrociavano le carrozze dei nobili spagnoli, quelli portoghesi invece la percorrevano a cavallo, seguiti a piedi dai loro schiavi. In città era vietata la tratta delle persone, ma qui “gli ordini del re duravano dalla sera al mattino” e gli uomini strappati all’Africa o alle Indie, venivano spesso venduti al mercato. Capitavo spesso in questa città, amavo percorrere le sue strade, immergermi nelle piccole botteghe che vendevano i prodotti delle Indie: conchiglie, ceramiche, madreperla. Anche il clero era ricchissimo, nel convento di São Vicente de Fora, alcuni monaci avevano schiavi e un’infinità di ricchezza, lo stesso dicasi per São Domingo, la chiesa dove all’indomani sarebbe accaduto il miracolo.
Entrai nell’osteria e mi colpì un tavolo di marinai che avevo di fronte. Inglesi, tedeschi, zelandesi: tutti insieme a bere birra e a confabulare qualcosa. Ne conoscevo un paio, brutti ceffi, Heinrich von Waldeck e Jan di Middelburg: due avanzi di galera che avevo incrociato spesse volte durante i miei viaggi nelle Fiandre o ad Amburgo. La mia posizione all’interno dell’osteria poteva dirsi strategica, riuscivo ad osservarli restandomene defilato; fra di loro c’era anche il mio uomo: Ruiz Manuel. Capii quasi niente di quello che si dicevano, tranne di un rogo che era stato appiccato in quel porcile di sinagoga dove si radunavano i Marrani, qualche giorno fa e di una forte lite fra portoghesi e nuovi convertiti, per la rua Nova, la domenica di Pentecoste. Consumai la mia zuppa di pesce, bevvi due bicchieri di Porto e tornai a casa, all’indomani sarei andato anche io nella Chiesa del miracolo.

Mi svegliai presto e mi avviai verso la sacra cerimonia. I nobili portoghesi, che spesso vanno a messa tutti agghindati come se stessero andando a prendere un’udienza con il re: erano pochissimi. Dall’oste avevo appreso che per via della peste, le personalità più importanti avevano lasciato Lisbona. Re Manuel stesso aveva abbandonato Lisbona rifuggiandosi ad Avis.
Una folla di mendicanti, appestati, poveracci assistevano alla santa messa pasquale. In un angolo, emarginati come se portassero il male peggiore dell’umanità intera, c’erano quelli che i portoghesi chiamavano i Nuovi convertiti: i marrani. Il clima era fra i più speranzosi, l’atmosfera altissima durante la messa. Il prete invocò più volte l’aiuto del Signore, fino a quando, a un certo punto, il crocefisso della chiesa di São Domingo non si illuminò.
Pausa.
Occhi che brillano.
“Miracolo”, grida una donna
“Miracolo!”, gridano poi ancora altre voci e tutti insieme, in coro: miracolo, miracolo, miracolo! La folla sembrava brillare, per un attimo, di una fede che illuminava le coscienze. Ma fu un attimo, per l’appunto, perché un marrano che era giunto fino a lì da Lindo disse:
“Ma non è un miracolo, gente, è la fiamma di un cero che, attraverso la copertura d’oro dell’ostensorio si riflette sul braccio di legno: tutto qui”.
Il gelo si impadronì di nuovo di quella sala. Sentii qualcuno digrignare fra i denti: “il Signore Gesù ha mosso la sua santissima mano per indicare che qui dentro, fra noi, c’è chi lo bestemmia” e poi si alzò all’unisono un grido fortissimo: “morte al blasfemo!”
L’ebreo di Lindo venne accerchiato, colpito, spinto fuori dalla Chiesa. Una folla disumana fatta di uomini e donne gli fracassarono le costole con i loro bastoni, il povero uomo riversava in una pozza di sangue, la testa maciullata. Non contenti i portoghesi cominciarono a smembrare quel uomo e a dargli fuoco. Altri marrani scapparono per le vie polverose della città. Una folla percorsa da una religiosissima follia inseguì gli ebrei. Donne, bambini, uomini, vennero presi a calci, pugni, sprangate. La follia durò tutta la giornata, ma nessuno poteva mai immaginare cosa sarebbe accaduto il giorno seguente.

Tornai sulla nave e non chiusi occhio. Se non fosse che avrei dovuto concludere l’affare sarei ripartito subito per Istanbul. Al mattino del giorno seguente mi incamminai con gli occhi gonfi e il passo incerto. Una voce mi fece però tremare da lontano.
“Eresia! Eresia!”
Non potevo credere alle mie orecchie: i frati domenicani stavano spingendo la popolazione lisbonese contro i marrani. Venne messa anche una ricompensa a chi avesse ammazzato i nuovi convertiti. La cosa non sfuggi di certo a von Waldeck, Jan di Middleburg e a tutti i balordi approdati nella città Lusitana. Squadriglie di ogni tipo per tre giorni, si infilarono nelle case degli ebrei. Violentarono le loro donne, rubarono i loro bottini e soprattutto sparsero sangue, tanto sangue. Ho visto donne con un bambino in braccio gettate giù dalle finestre, ebrei infilzati da lance, bruciati vivi, smembrati. La piazza delle esecuzioni capitali puzzava di sangue come una grossa macelleria a cielo aperto. Finì tutto soltanto quando re Manuel, avvertito della follia che sgorgava per le strade di Lisbona, mandò un piccolo esercito guidato dal regedor Ayres da Sylva. I due frati che avevano sollevato all’odio vennero degradati, strangolati e inceneriti sul rogo. Furono giustiziate altre trenta persone che erano state viste pugnalare, stuprare, smembrare e bruciare i marrani.
Von Waldeck e Jan di Middleburg riuscirono a scappare via e a tornare nelle loro case con il bottino. Ruiz Manuel pendeva da una forca. Io riuscii a tornare ad Istanbul, chiudere il mio affare ed appuntare queste storie di sangue sul mio diario di bordo.

Lisbona, AD. 1506

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